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Volume 6, Issue 1
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A spasso per il continente africano: esperienze One Health

Benedetto Morandi;Filippo Maria Dini;Gianluca Zaffarano;Giovanni Poglayen
DOI: https://doi.org/
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Abstract

L’approccio One Health integra la salute umana, animale e ambientale per affrontare diverse questioni sociali, tra cui le malattie zoonotiche. Il concetto, introdotto in ambito veterinario in Italia da Adriano Mantovani e sviluppato dai suoi studenti, sottolinea l’interconnessione delle specie e del loro ambiente condiviso. Il documento traccia diversi progetti di ricerca eseguiti in Africa che illustrano questo approccio. In Somalia, la cooperazione italiana a Mogadiscio ha portato a studi sugli elminti in gatti e polli randagi, rivelando significative minacce zoonotiche, in particolare per le specie Ancylostomatidae. Un’indagine del 2008 su 1400 tartarughe terrestri del Nord Africa ha scoperto un’alta prevalenza di vari sierotipi di Salmonella e zecche di Hyalomma aegypticum, sottolineando i rischi di animali domestici esotici. La ricerca nei campi profughi saharawi rivela prove ecografiche dell’echinococcosi nell’uomo e risultati parassitologici negli animali, mentre un tasso di sieropositività del 32% per la toxoplasmosi, che richiede ulteriori studi nonostante i finanziamenti limitati. Uno studio sui ruminanti selvatici nella selvaggina sudafricana preserva i punteggi di scarsa condizione corporea collegati a carichi elevati di parassiti, sottolineando la necessità di pratiche di gestione efficaci per conservare la biodiversità e prevenire le malattie zoonotiche. Per la prima volta, l’Echinococcus equinus è stato segnalato in un rinoceronte bianco nel Kruger National Park, ampliando le conoscenze sulla parassitologia della fauna selvatica. Al macello di Songea in Tanzania, un’alta prevalenza di fasciolosi nei bovini è stata collegata a fonti d’acqua, rivelando impatti economici e zoonotici significativi, inoltre, le analisi di laboratorio hanno permesso di escludere alcune importanti malattie zoonotiche negli animali macellati. Uno studio nel Parco Nazionale del Limpopo, in Mozambico, ha identificato l’Echinococcus ortleppi nei bovini, evidenziando le sfide del monitoraggio delle malattie nelle aree rurali. Il documento sottolinea il valore dell’integrazione delle conoscenze locali e della cooperazione internazionale nel promuovere l’agenda One Health e affrontare le malattie zoonotiche trascurate in Africa.

One Health, a cui è dedicata questa nuova rivista, dovrebbe trasmettere un nuovo approccio alle malattie zoonotiche. Il dubbio diventa obbligatorio in quanto l’Homo Sapiens fin dalle sue origini ha notato somiglianze tra i suoi coetanei e gli animali e li ha studiati e interpretati fino al Medioevo quando è apparsa una frattura a livello teologico. In seguito questo percorso reciproco ha preso forma e si è evoluto fino ai giorni nostri con innegabili analogie a livello di anatomo-fisiologia, diagnostica, terapia e profilassi.

Il fatto che gli animali e l’uomo vivano nello stesso ambiente ci ha portato a prendere in considerazione anche il benessere ambientale in un contesto armonico che coinvolge l’uomo, gli animali e l’ambiente che deve essere preservato.

In tempi moderni, nel nostro Paese, il concetto di One Health è stato introdotto in ambito veterinario da Adriano Mantovani a Bologna ed è stato sviluppato dai suoi allievi di cui sono onorato di far parte (G. Poglayen). Questo è ciò che ci ha portato a interpretare la maggior parte delle nostre esperienze parassitologiche all’interno di questo approccio molto pratico che può anche essere descritto come filosofico [1]. La nostra Africa (secondo l’ordine di pubblicazione) inizia attraverso una terza parte a Mogadiscio. Attraverso il protettorato sulla Somalia raggiunto dopo la seconda guerra mondiale, l’Italia ha intrapreso molte attività di cooperazione tra cui la Facoltà di Medicina Veterinaria il cui scopo era quello di coinvolgere i professori locali e istruire i futuri laureati sulla gestione del notevole patrimonio zootecnico. Dal 1974 la Facoltà, guidata dall’Università di Pisa, ha visto il coinvolgimento di molti professori di diverse Facoltà italiane e ha regolarmente pubblicato i risultati delle ricerche condotte in Somalia su un Bollettino Scientifico della Facoltà di Zootecnia e Medicina Veterinaria pubblicato a Torino.

Con la caduta della Repubblica di Somalia e lo scoppio della guerra civile tutto è andato perduto e molti colleghi somali sono stati costretti all’esilio. Alcuni di loro sono andati in Canada, molti nel Regno Unito, dove hanno ottenuto un sussidio statale fisso, e altri in Italia, favoriti da una lingua a loro familiare ma con poca o nessuna protezione dal punto di vista economico (scarse borse di studio, contratti a breve termine…). Tra questi ultimi il preside della Facoltà di Mogadiscio, il professor Osman Issa Gadale, è sbarcato a Bologna e ha frequentato il laboratorio di Malattie Parassitarie dove abbiamo potuto coinvolgerlo in una ricerca che gli ha permesso di rinnovare la borsa di studio e di ottenere il dottorato di ricerca. Grazie ai suoi contatti con il paese d’origine siamo stati in grado di esaminare il tratto digestivo di 50 gatti randagi (Felis catus) catturati ed eutanasizzati a Mogadiscio. Tutti gli animali sono risultati positivi agli elminti: Toxocara cati (28%), Ancylostoma braziliense (78%), A. tubaeforme (2%), Dipylidium caninum (34%), Diplopylidium noelleri (4%), Joyeuxiella pasqualei (62%), Taenia taeniaeformis (4%), Taenia sp (6%) e Moniliformis sp (2%). Nessuno di questi parassiti è stato precedentemente segnalato nei gatti Soamali. L’approccio ha permesso di studiare anche la distribuzione dei parassiti all’interno degli ospiti per definire ogni ruolo. Tuttavia, il risultato più importante è stato l’elevato numero di specie di Ancylostomatidae con un ruolo zoonotico (eruzione strisciante) nell’ambiente urbano durante una guerra civile [2]. I risultati sono stati riportati anche sulla rivista ufficiale della Società Italiana di Parassitologia, Parassitologia [3].

L’indiscussa influenza e il prestigio che il prof. Osman aveva ancora in patria ci permisero di realizzare un’altra esperienza. Questa volta abbiamo studiato gli elminti di pollo, considerando questo animale una risorsa di cibo proteico, molto comune e facile da ottenere. È stata condotta un’indagine epidemiologica sugli elminti nel tratto digestivo dei polli (Gallus gallus domesticus) in Somalia [4]. Sono stati utilizzati centoquaranta polli di una razza locale e provenienti da due diversi tipi di allevamento (ambiente): 125 erano polli allevati all’aperto portati in un mattatoio a Mogadiscio e 15 erano stati ottenuti da un allevamento intensivo. Dei 140 polli esaminati, 110 erano infetti (79%). 104 provenivano da allevamenti all’aperto e 6 dall’allevamento intensivo. Pertanto, l’83% degli animali del primo gruppo e il 40% del secondo erano infetti. Le differenze nella prevalenza di endoparassiti in entrambi gli ambienti erano statisticamente significative (P< 0.01). Le specie parassite identificate erano: Ascaridia galli, Subulura suctoria, Raillietina (Raillietina) tetragona, Raillietina (Raillietina) echinobothrida, Raillietina (Skriabjnia) cesticillus, Raillietina (Paroniella) sp, Raillietina (Raillietina) sp, Raillietina sp, Cotugna sp e Mediorhyncus gallinarum. I parassiti presentavano varie associazioni. Non sono stati trovati timonieri zoonotici ma il danno da parassiti può essere considerato in termini moderni una vera e propria zoonosi, in particolare in Africa. Infatti, secondo Mantovani (2013) [5] il termine zoonosi dovrebbe essere inteso come “qualsiasi danno alla salute e/o alla qualità della vita umana derivante da relazioni con (altri) vertebrati o animali invertebrati commestibili o tossici”. Da questo punto di vista, anche la morte, la crescita insufficiente di un pollo o una riduzione del numero di uova possono essere considerate una zoonosi.

Non è sempre necessario recarsi nel continente africano per incontrare agenti patogeni da introdurre nel nostro Paese. È il caso di un sequestro di 1400 tartarughe terrestri (Testudo graeca) dal Nord Africa effettuato a Palermo dal corpo di polizia forestale CITES nel 2008. Lo stato di salute dei rettili è stato condotto attraverso esame clinico, tampone cloacale e ricerca di eventuali ectoparassiti (zecche). I risultati della conseguente indagine sono assolutamente preoccupanti e mostrano la presenza di 20 diversi sierotipi di salmonella nel 62% dei soggetti, di cui oltre un quarto appartenenti a sierotipi “esotici”. Anche l’unica specie di zecche isolata nel 37% delle tartarughe Hyalomma aegypticum è di notevole importanza per la salute umana in quanto è in grado di trasportare per esempio il virus emorragico Crimea-Congo [6]. Non sembra superfluo sottolineare la terribile moda di scegliere animali esotici come animali domestici, che sono forieri di rischi per la salute e l’ambiente.

I saharawi sono un popolo nomade cacciato dai loro territori dal Marocco con il sostegno della Spagna. Dal 1979 vivono relegati in 5 campi profughi nel deserto algerino, a seconda del sostegno internazionale e dell’aiuto delle ONG. Con una continua emorragia di giovani che emigrano in Spagna possiamo dire che stiamo portando all’estinzione l’orgoglioso popolo nomade. L’ONG Africa 70 ha avuto il merito di riorganizzare con successo il servizio sanitario veterinario dal controllo della macellazione alla cura degli animali recuperando veterinari (diplomati a Cuba e successivamente abbandonati nei campi) e formando una generazione di giovani tecnici di supporto. L’invio di colleghi italiani ha permesso lo studio e l’implementazione di ricerche specifiche successivamente pubblicate che dimostrano non solo materiale di aiuto. Per quanto riguarda l’echinococcosi la presenza di lesioni cistiche è stata dimostrata mediante ecografia in soggetti adulti (22 su 263) ma non confermata sierologicamente. Su 37 bambini, uno è risultato positivo [7].

Considerando che questa etnia occupa un’area ristretta del deserto in coabitazione con diversi animali domestici (cani, gatti, pecore, capre, cammelli) è stata condotta un’altra ricerca sierologica su echinococcosi e toxoplasmosi. Nessuna echinococcosi è stata rilevata nell’uomo, ma vermi adulti sono stati trovati nei cani e cisti nei cammelli (Poglayen, comunicazione personale). Per quanto riguarda il Toxoplasma, è stato registrato un tasso di positività (IgG) del 32% con un livello più elevato nelle donne nella classe di età 5-10 anni. Questi dati sarebbero degni di ulteriore studio ma la scarsità di finanziamenti ha ridotto drasticamente le attività. Anche il 12,5% delle infezioni recenti (IgM) avrebbe meritato ulteriori indagini [8]. Nel recente passato, la Medicina Veterinaria ha focalizzato il proprio interesse sul coinvolgimento degli animali selvatici non solo come singola testa recintata in cattività e quindi clinicamente simile a quella domestica, ma anche come popolazioni libere. Tutti questi hanno lo scopo di proteggere la biodiversità e limitare la possibile diffusione di agenti patogeni e malattie zoonotiche. Queste considerazioni preliminari suggeriscono di trasferire l’approccio clinico proposto da Bologna [9] e più recentemente dalla Cambridge Academy [10] semplificandoli e adattandoli ai ruminanti selvatici nelle conserve di selvaggina del Sudafrica. Si tratta di allevamenti selvatici adatti alla conservazione, compreso l’allevamento di specie della fauna selvatica locale particolarmente pregiate, dal punto di vista economico, turistico o in via di estinzione. La loro gestione è piuttosto particolare: i ruminanti selvatici sono recintati su molti ettari di terreno e continuamente scambiati con altre conserve. Considerando che da questa fattoria selvatica mancano informazioni parassitologiche e che anche i ruminanti domestici vengono allevati vicino a quelli selvatici, abbiamo suggerito di trasferire l’approccio clinico citato adattandoli ai ruminanti selvatici da un sistema visivo per il punteggio delle condizioni corporee (telediagnosi). Il Body Condition Score (BCS) è un indice della salute di un animale [11]. Un aumento o una diminuzione delle condizioni corporee potrebbe significare un cambiamento nella qualità della gestione o nell’ambiente in cui vive un animale. Il BCS della fauna selvatica dovrebbe essere collegato alla presenza di parassiti gastrointestinali che dovrebbero essere riconosciuti, contati e valutati statisticamente. Un altro scopo per studiare il parassitismo dei ruminanti selvatici dovrebbe essere quello di aiutare la loro gestione da parte dei ranger. Il nostro sondaggio è stato condotto in 6 conserve nella regione orientale di Garden Route, Repubblica del Sud Africa, nel febbraio 2016. Nel complesso, abbiamo avuto l’opportunità di lavorare con 103 animali appartenenti a 15 diverse specie di ruminanti. Per valutare il BCS gli animali sono stati identificati attraverso uno strumento ottico (vetro di campo Olympus 10×50) al momento della caduta e successivamente fotografati. I campioni fecali sono stati raccolti da ciascun animale, sono stati eseguiti esami parassitologici e i risultati sono stati valutati statisticamente. L’83,5% dei campioni è risultato positivo per gli strongili gastrointestinali (GIS) e il 21,85% è risultato positivo anche per i coccidi. Scarsi valori di BCS risultarono legati alla maggiore presenza di parassiti, gli stessi animali andrebbero trattati evitandone la perdita. Il presente lavoro è parte integrante delle limitate esperienze di telediagnosi in una prospettiva di conservazione. I proprietari delle conserve erano entusiasti del nostro lavoro e dei consigli di gestione che ne sono emersi. Da parte nostra possiamo affermare che solo con la loro collaborazione abbiamo potuto ottenere risultati trasferibili anche in situazioni di completa libertà degli animali come avviene nei parchi nazionali [12].

La grande disponibilità e collaborazione da parte dei gestori, dei colleghi e dei ranger del Parco Nazionale Krugher ci hanno offerto l’opportunità di segnalare, per la prima volta al mondo, E. equinus nel rinoceronte bianco (Ceratotherium simum simum). L’animale fu ucciso dai bracconieri, ma ranger e veterinari arrivarono poco dopo che i leoni che avevano risparmiato la cavità toracica erano riusciti a trovare quattro cisti nei polmoni. Le cisti erano fertili con all’interno molti protoscolici e sottoposte a PCR che permetteva di definire il ceppo E. equinus, lo stesso genotipo presente nelle zebre della zona. Questo ceppo non è tansabile per l’uomo e l’ospite carnivoro definitivo locale è sconosciuto e lo stiamo cercando [13].

L’attività di Vet for Africa NGO, supportata dall’Università di Bologna in Tanzania, ci ha permesso di raccogliere informazioni sulla malattia presso Songea slaughtherhouse (South Tanzania). Con la collaborazione di veterinari ufficiali, abbiamo voluto approfondire la presenza del parassita con particolare attenzione a quelli zoonotici approfondendo la diagnosi ispettiva mediante indagini parassitologiche e istologiche su campioni di tessuto. Complessivamente sono stati riportati i dati di macellazione di 614 animali. Nella maggior parte dei casi i bovini macellati appartenevano a razze locali e provenivano dalla regione di Mbeya. La fasciolosi (diagnosticata nel 44,6% degli animali) era la condizione più frequente, seguita da malattie respiratorie (24,4%), oncocercosi aortica (6,5%), idatidosi (5,5%) e cisticercosi bovina. Le analisi di laboratorio hanno identificato nella Fasciola gigantica la specie coinvolta nella distomatosi epatica in quest’ area; nel tentativo di identificare la causa di questa elevata prevalenza, abbiamo scoperto che tutti i bovini venivano portati nei fiumi locali per bere ogni mattina e sera, dove inevitabilmente entravano in contatto con la lumaca ospite intermedia. I casi macroscopicamente attribuiti alla cisticercosi si sono rivelati essere una forma muscolare di oncocerchiasi (da Onchocerca dukey), una malattia parassitaria trascurata e non riconosciuta in Tanzania, mettendo in discussione la reale frequenza di una zoonosi che causa principalmente gravi perdite economiche. Le cisti polmonari, denominate idatidosi all’esame visivo, sono state identificate istologicamente come linfonodi ademali, organi linfoidi comuni nei ruminanti, ma descritti nei polmoni dei bovini per la prima volta nella presente ricerca. Slaugtherhouse ha dimostrato di essere un importante osservatorio epidemiologico, in particolare per le parassitosi trascurate. La possibilità di avere una diagnostica di laboratorio di base come ausilio all’ispezione visiva può garantire una maggiore efficienza del servizio veterinario nel controllo di importanti malattie del bestiame e zoonosi nel quadro di una prospettiva One Health [14].

L’echinococcosi cistica (CE) è inclusa nell’elenco dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) delle più frequenti malattie zoonotiche trascurate (NZD) ed è un grave problema nelle aree rurali dove le misure igieniche sono scarse. La prevalenza della malattia nell’uomo è spesso sottovalutata date le sfide nello svolgimento di studi in comunità povere di risorse in aree geografiche remote e isolate. Uno studio di prevalenza e genotipizzazione è stato condotto nel Parco Nazionale del Limpopo (LNP), nella provincia di Gaza (Mozambico), per valutare gli effetti di questa malattia parassitaria sulla produzione di fegato, sulla salute della fauna selvatica e sui possibili rischi per la salute pubblica in questa area di conservazione dell’interfaccia uomo-fauna selvatica. Un totale di 204 bovini sono stati ispezionati nel macello di Massingir, che è il punto focale per tutti gli animali allevati nel LNP e nella sua zona cuscinetto. L’ispezione ha rilevato 25 animali con lesioni simil-cistiche in vari organi, di cui 22 sono stati confermati al microscopio come Echinococcus granulosus s.l., rappresentando una prevalenza del 10,8%. Successive analisi molecolari confermarono che i campioni appartenevano al ceppo G5, ora riclassificato come E. ortleppi, una delle note specie zoonotiche di Echinococcus. A causa della scarsa attenzione osservata dai tecnici locali durante le procedure di ispezione in occasione della visita degli ispettori della cooperazione europea, abbiamo preparato un poster sull’importanza del veterinario durante l’ispezione degli animali da esporre nei macelli e nelle scuole della zona (Figura 1) [15].

Al termine di questa breve rassegna della nostra attività nel continente africano ci teniamo a sottolineare che un modesto gap conoscitivo è stato colmato anche con il supporto dei colleghi locali e soprattutto è stato possibile dimostrare scientificamente l’attività di cooperazione, cosa abbastanza rara.

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