Ogni epoca ha avuto il suo linguaggio internazionale, che non è né il più bello né il più armonioso, non è il più musicale né il più romantico, è semplicemente quello dei paesi che dominano l’economia. Inoltre non è strano capire il panico di chi teme che io debba iniziare a studiare il cinese adesso.
Fortunatamente per gli anglosassoni, l’inglese resiste ancora.
Peccato che, soprattutto in Italia, le sue conoscenze siano spesso scarse, superficiali e maldestramente ostentate.
Al di là di queste considerazioni, il futuro di un mondo globalizzato non può essere legato a una sola lingua, soprattutto ora che il pianeta è veramente policentrico.
D’altra parte, la comunicazione del futuro richiederà una precisione sempre maggiore, e l’uso di una lingua diversa dalla nostra non sarà più sufficiente. Non sarà sufficiente nemmeno nei casi in cui è stato appreso e praticato durante molti anni di permanenza all’estero.
Questo perché le lingue sono nel nostro DNA, ed è eccessivo pretendere di conoscere gli altri esattamente come il proprio, poiché il nostro linguaggio sono i nostri pensieri e i nostri sentimenti, con sfumature che non troveremo mai altrove, ed è proprio le sfumature che modellano la mente.
Quando si tratta di salute, medicina, scienza in generale, la precisione non è mai abbastanza. Ciò si verifica soprattutto quando due culture molto distanti si incontrano e i rischi di imprecisioni nel dialogo si moltiplicano quando entra in gioco una terza lingua.
Un articolo di Marco Trombetti spiega molto bene il percorso che ci ha portato alla piattaforma che rende universali le nostre pubblicazioni: non crediamo di aver trovato la soluzione definitiva. Riteniamo, tuttavia, di esserci avvicinati ad essa più di quanto potremmo mai immaginare in un passato molto recente.
Non importa chi avrà il controllo del futuro tra uno, cinque, dieci, venti o trent’ anni. Chiunque sarà, non avrà alcun monopolio scientifico. Sarà potente, vero, ma la comunicazione sempre più ampia e rapida permetterà scoperte e, soprattutto, milioni di contributi a scienziati, ricercatori, professionisti, studiosi che si trovano anche nelle parti più remote del mondo. Esse intendono, come obiettivo principale,
sarà in grado di comunicare in tempo reale, con un linguaggio reale.
UGHJ è giovane, anzi molto giovane. Noi che lo concepiamo non abbiamo alcuna pretesa di fare la storia o di rivendicare alcun primato se l’argomento del nostro terzo numero dovesse diventare uno dei temi dominanti.
Ci piace solo inviare un segnale che altri, speriamo, si riuniranno per risolvere questo problema, che presto diventerà un must (perdona l’ormai antico anglicismo, chiedo alla piattaforma di rimediare!).