INTRODUZIONE 1
Si stima che ci siano più di 200 milioni di ragazze e donne sottoposte a MGF nei trenta paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente in cui tali pratiche sono più diffuse, con le ragazze adolescenti che rappresentano la popolazione più colpita. A livello internazionale, le MGF sono state oggetto di molteplici convenzioni volte ad eliminare questa pratica, considerata una grave violazione dei diritti fondamentali delle donne, con la conseguente adozione a livello nazionale di misure volte a tale direzione. I crescenti flussi migratori provenienti da Paesi in cui tali pratiche sono ancora diffuse fanno delle MGF una realtà con cui anche gli operatori sanitari devono confrontarsi alla luce della vigente normativa internazionale e nazionale, con le sue importanti ripercussioni sia in ambito penale che civile.
RIFERIMENTI NORMATIVI 2 3 4 5 6 7
L’Italia è paese firmatario di una serie di convenzioni internazionali volte ad eliminare le MGF, tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (1979), la Convenzione sui diritti del fanciullo (1990), la Dichiarazione sulla violenza contro le donne (1993), che include un particolare riferimento alle MGF, la Convenzione di Istanbul del 2011, in cui “la violenza contro le donne è riconosciuta come una forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione”.
Secondo l’art. 32 della Costituzione “La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e nell’interesse della collettività. Nessuno può essere costretto a un determinato trattamento sanitario se non per legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana ”.
Questo articolo è richiamato dall’art. 5 del Codice Civile, che disciplina gli atti di disposizione del proprio corpo, che sono vietati “quando provocano una diminuzione permanente dell’integrità fisica o quando sono contrari alla legge, all’ordine pubblico o alla morale”.
La Legge 9 gennaio 2006 n. 7 e dell’art. 583-bis c.p.
Prima dell’emanazione della c.d. Legge Consolo, le MGF potevano essere classificate tra le lesioni dolose ai sensi degli articoli 582 e 583 del Codice Penale; queste, pertanto, venivano punite come lesioni personali gravi o gravissime, in relazione al tipo di alterazione prodotta sulla donna e alle conseguenze a lei causate.
Con la promulgazione della Legge 9 gennaio 2006 n. 7 sono state dettate “le misure necessarie per prevenire e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile in quanto violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine” (art. 1). Questa disposizione si caratterizza per il suo duplice carattere: da un lato, come misura repressiva della violenza contro i diritti umani di ogni donna e, dall’altro, come strumento informativo-preventivo.
La parte più rilevante dell’intervento legislativo è costituita da disposizioni di carattere penale. Infatti, con l’articolo 583-bis, sono state introdotte due nuove fattispecie di reato: il reato di mutilazione (C1) e il reato di lesione (senza mutilazione) degli organi genitali femminili (C2), previa verifica della “innesco effettivo di un processo morboso, producendo una riduzione apprezzabile della funzionalità degli organi interessati”. Si precisa che, a norma di legge, la condotta all’origine dell’illecito può essere sia attiva che omissiva, pertanto sussiste reato non solo quando il genitore impone alla figlia la mutilazione genitale, ma anche quando non impedisce che tale pratica sia posta in essere dal coniuge, o da altri.
L’articolo stabilisce chiaramente che: “chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, pratica la mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”. Le mutilazioni degli organi genitali femminili cui si riferisce il codice penale sono: clitoridectomia, escissione, infibulazione, qualsiasi altra pratica che riporti effetti dello stesso tipo. Si precisa inoltre che chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle sopra indicate con lo scopo di compromettere le funzioni sessuali, provocando così una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La sanzione sarà più severa se la MGF è stata praticata su un minore o a scopo di lucro.
Con la legge n. 172/2012, in attuazione della Convenzione di Lanzarote sottoscritta dall’Italia il 25 ottobre 2007, è stata introdotta nell’articolo 583-bis del codice penale la previsione della pena accessoria di decadenza dall’esercizio della potestà genitoriale. Tale decadenza è regolata dagli articoli 330 del codice civile (comportamento che arreca oggettivo danno ai minori) e 333 del codice civile (comportamento non tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma comunque pregiudizievole per il minore per il quale il giudice può adottare gli opportuni provvedimenti e disporre l’allontanamento di uno o entrambi i genitori dalla residenza familiare) . Nel 2018 il Tribunale di Torino si è espresso con queste disposizioni su un caso di MGF.
Si precisa che le disposizioni della presente legge sono valide anche nel caso in cui le MGF siano eseguite all’estero, sia da un cittadino italiano che da un cittadino straniero residente in Italia. La Legge prevede inoltre una pena accessoria per chi esercita una professione sanitaria (medici, ostetriche, infermieri), qualora sia condannato per uno di questi reati, ovvero l’interdizione dalla professione da tre a dieci anni. In considerazione del divieto, sono consentiti interventi medico-chirurgici mutilativi, giustificati dalla necessità di trattare la patologia del paziente.
Nell’ambito di applicazione della legge, sono illeciti anche i casi di reinfibulazione, nei casi in cui il chirurgo (ove la sutura sia stata asportata per motivi terapeutici) sia richiesto dai familiari o dalla donna di effettuare la risutura della vagina.
Inoltre, il Codice di deontologia medica, infine, all’articolo 52, vieta esplicitamente al medico qualsiasi forma di collaborazione, partecipazione o semplice presenza, nell’attuazione di atti di tortura, o trattamenti crudeli, disumani o degradanti e preclude espressamente la pratica di qualsiasi forma di mutilazione sessuale femminile.
Obblighi giuridici
Per quanto sopra, gli operatori sanitari dovrebbero essere consapevoli delle loro responsabilità davanti alla legge, sia per quanto riguarda la legittimità della loro condotta che per quanto riguarda il loro dovere di informare l’AG.
OBBLIGO DI DIVULGAZIONE
Rientrando nella fattispecie di cui ai punti C1 e 2 dell’art. 583 bis c.p. nei reati perseguibili d’ufficio, per l’Operatore Sanitario vige l’Obbligo di denuncia all’Autorità Giudiziaria.
Tale obbligo di informativa dovrà essere adempiuto a norma di legge in vario modo, a seconda della qualifica dell’Operatore nel caso specifico.
I reati perseguibili d’ufficio sono generalmente quelli contro la vita, contro l’incolumità individuale (lesioni gravi, violenza privata, sequestro di persona), contro l’incolumità pubblica, sessuali, abortivi (al di fuori di quanto previsto dalla Legge 194/78), di manomissione di un cadavere, contro la libertà individuale e contro la famiglia (maltrattamenti, abbandono di minori o di incapaci).
Ai sensi dell’art. 331 c.p.p., i Pubblici Ufficiali e gli Incaricati di Pubblico Servizio che, nell’esercizio o in ragione delle loro funzioni o del loro servizio, abbiano notizia di un fatto che potrebbe costituire reato perseguibile d’ufficio, hanno l’obbligo di denunciarlo. Pertanto, la certezza del reato non è necessaria ma è sufficiente il mero sospetto che si sia verificato.
Coloro che esercitano una funzione pubblica (attività svolta da persona non nel proprio interesse ma nell’interesse della collettività) legislativa, giudiziaria o amministrativa, caratterizzata da poteri autoritativi o di certificazione sono titolari della qualifica di Pubblico Ufficiale (PU), ai sensi dell’art. 357 c.p. Questa è una manifestazione della volontà della pubblica amministrazione. Tra le figure che detengono tale qualifica vi sono il Direttore Sanitario di un ospedale pubblico, i Medici Ospedalieri nell’esercizio di poteri autoritativi (negli altri casi ricoprono la carica di Incaricati di Pubblico Servizio), il Medico di Medicina Generale, il responsabile residente di un Laboratorio convenzionato, il Medico che opera in una Casa di Cura privata convenzionata con il SSN. Ai sensi dell’art. 358 c.p., chi esercita un’attività pubblica, prestata a qualsiasi titolo e disciplinata nella stessa forma di una pubblica funzione, riveste la carica di Public Representatives Service (IPS). Tuttavia non detengono i poteri tipici dei pubblici ufficiali, cioè poteri autoritativi o certificativi.
Ai sensi degli articoli 331 e 332 del codice di procedura penale, la denuncia deve contenere l’esposizione degli elementi essenziali del fatto, delle fonti di prova già note e del giorno dell’acquisizione della notizia. La denuncia deve essere presentata e inviata al Pubblico Ministero o a una Procura della Repubblica per iscritto, senza indugio, anche quando l’autore del reato non è noto. Nel caso in cui più persone siano obbligate a segnalare il medesimo fatto, un unico atto potrà essere redatto e sottoscritto da tutti i soggetti designati.
Ai sensi dell’art. 334 c.p.p. (Segnalazione) e dell’art. 365 c.p. (Omissione di denuncia), il Gestore di una Professione Sanitaria (EPS) che abbia prestato la propria assistenza o operi in casi che possano presentare le caratteristiche di un reato perseguibile d’ufficio ha l’obbligo di denuncia, possibilità che deve essere concreta. Le professioni sanitarie nell’ordinamento italiano sono tutte quelle professioni i cui operatori, in virtù di un titolo abilitante rilasciato/riconosciuto dalla Repubblica Italiana, operano in ambito sanitario (farmacista ai sensi del D.Lgs. 258/1991; chirurgo ai sensi del D.Lgs. 368/1999; odontoiatra-tra ex l.409/1985; veterinario ex l. 750/1984; psicologo ex l. 56/1989).
Esistono anche professioni sanitarie infermieristiche ex l. 905/1980 e ostetrici ex l. 296/1985, nonché infermiere pediatrico ex d.l. 70/1997; a queste si aggiungono le professioni sanitarie riabilitative, nonché le professioni tecnico-sanitarie (dell’area tecnico-diagnostica e tecnico-assistenziale).
Ai sensi del citato art. 334 c.p.p., la segnalazione deve contenere l’indicazione del soggetto al quale è stata prestata l’assistenza, del luogo, dell’ora e delle circostanze dell’intervento, nonché le informazioni riguardanti il fatto, i mezzi con cui è stata commessa e gli effetti che essa ha causato o può causare. Essa deve essere inviata per iscritto all’Autorità Giudiziaria entro quarantotto ore o, se sussiste pericolo nel ritardo, immediatamente. Come per la relazione, anche se più persone sono obbligate a effettuare una segnalazione per lo stesso fatto, un unico atto può essere redatto e sottoscritto da tutti i soggetti designati. Al pari di quanto previsto per la segnalazione, l’omissione o il ritardo della segnalazione è sanzionata ma, a differenza della segnalazione, sono previste deroghe all’obbligo di segnalazione (art. 365 c.p.): quando la presentazione esporrebbe l’assistito a procedimento penale (priorità del Diritto alla Salute); se il medico non ha presentato la segnalazione per essere stato costretto a farlo dalla necessità di salvare se stesso o un parente stretto da un grave e inevitabile pregiudizio alla libertà o all’onore (art. 384 c.p.).
In sintesi, le differenze sostanziali tra i due casi sopra descritti riguardano la qualificazione del soggetto obbligato nel momento in cui viene a conoscenza del fatto (PU/IPS vs EPS), le modalità con cui ne viene a conoscenza (news vs assistenza /lavoro pre-stare), la tempistica con cui l’obbligo deve essere adempiuto (senza ritardo vs < 48 h/immediatamente), la certezza del verificarsi di un evento configurabile come reato perseguibile d’ufficio (sospetto vs concreta possibilità) e, infine , la presenza di eventuali deroghe (previste solo per la denuncia).
Le principali differenze tra il reclamo e la segnalazione sono riassunte nella tabella 1.
DI SOSTENIBILITÀ | REFERTO MEDICO | |
Qualifica dell’operatore nel momento in cui il soggetto è a conoscenza del fatto | PU/IPS | EPS |
Metodo con cui il soggetto ha conoscenza del fatto | D’AZIONE | Assistenza fornita |
Termine entro il quale l’obbligo deve essere adempiuto senza indugio | 没有延迟 | <48h / immediateley |
Casi di esclusione | NON FORNITO |
Tabella 1 Principali differenze tra il reclamo e la segnalazione
Poiché le MGF, come detto, secondo quanto previsto dall’art. 583-bis c.p. C1 e C2, sono fattispecie di reato perseguibili d’ufficio, per l’Operatore Sanitario vige l’obbligo di informazione, secondo le modalità sopra specificate. La ratio del rapporto risiede non solo nel perseguimento del reato già commesso, ma in un’ottica di prevenzione, sia a tutela delle attuali potenziali vittime che delle generazioni future. Tale adempimento, comunque vincolante, deve essere effettuato dall’Operatore Sanitario per quanto possibile in alleanza con l’assistito, eventualmente con il supporto di Mediatori Culturali e Servizi Sociali, al fine di ridurre al minimo il rischio di essere allontanato dalla rete per motivi familiari e socioculturali.
IL PROBLEMA DEL CONSENSO 2 8 9
Non trascurabili sono i problemi relativi al consenso (ossia la capacità del singolo titolare del bene protetto di autodeterminazione e di libera scelta) a tale pratica, tenuto conto della possibilità, tutt’ altro che rara, che sia la vittima stessa a chiedere di essere sottoposta a una pratica culturalmente condivisa e socialmente imposta. Si può ritenerla intrinseca alla propria identità culturale e, di conseguenza, importante per mantenere l’adesione alle proprie tradizioni.
Inoltre, a un operatore sanitario può essere richiesto di eseguire MGF su una persona minorenne o disabile.
Il Consenso Informato è definito e regolato, per la prima volta in Italia, dalla legge 219/17 recante “Regolamento in materia di consenso informato e disposizioni di trattamento preventivo” – nota anche come legge sul Biotestamento. La legge è strutturata in due parti: la prima (articoli 1, 2 e 3) si occupa di consenso informato, il secondo (art. 4) con testamento biologico (c.d. DAT, disposizioni di trattamento anticipato) e progettazione di cure condivise (art. 5).
Il consenso informato rappresenta il personalissimo diritto del paziente all’autodeterminazione che si concretizza nella facoltà di scegliere liberamente e in piena consapevolezza tra le varie opzioni terapeutiche di trattamento, nonché quella di rifiutare il trattamento e decidere consapevolmente di interrompere la terapia in corso.
La scelta segue la presentazione di una specifica serie di informazioni, rese comprensibili dal medico o dall’equipe medica.
Chiunque sia direttamente coinvolto in un atto medico, se maggiorenne, cosciente e capace, deve prestare il proprio consenso al personale sanitario affinché possa agire legittimamente.
Dato che si tratta di una manifestazione libera e consapevole della volontà, alcuni soggetti potrebbero non essere in grado di soddisfare questi requisiti. Non si fa distinzione tra minorenni, interdetti e incapaci, si parla generalmente di pazienti incapaci. Il paziente incapace “deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo coerente con le proprie capacità per essere messo in condizione di esprimere la propria volontà”, come recita l’art. 3 comma 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219. In tali casi il consenso è espresso dal tutor o dalla stessa persona disabile.
Il consenso informato viene utilizzato per rendere lecito un determinato atto sanitario, in assenza del quale il reato viene nuovamente commesso.
Nel caso delle MGF ci troviamo di fronte ad un atto che non ha valore terapeutico (al quale la persona assistita può o meno prestare il proprio consenso), trattandosi, in particolare per quanto riguarda quanto previsto dalla C1, di azioni volte a produrre una disabilità dell’integrità psico-fisica della persona e, come tali, perseguibili penalmente per legge.
Pertanto, nello specifico, oltre alla Legge Penale e al Codice Deontologico (art. 52), le disposizioni dell’art. 5 c.c. (“Atti di disposizione del proprio corpo”, che sono vietati quando causano una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando sono altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o alla morale), salvo i casi espressamente previsti dalla Legge (L. 458/67: trapianto di rene vivo; L. 164/82: rettifica e attribuzione del sesso; L. 107/90: trasfusioni di sangue; L. 30/93: prelievo e innesti di cornee; L. 91/99: prelievo e trapianto di organi e tessuti; L. 483/99: trapianto parziale di fegato).
La donna quindi (o il tutore in caso di minori o disabili) può esprimere valido consenso a tali procedure? Sono specificamente i titolari del diritto esistente?
In merito al C1 dell’art. 583-bis c.p., considerato che tali pratiche determinano sempre una diminuzione permanente dell’integrità psicofisica (diritto costituzionalmente garantito dall’art. 32), non possono infatti esprimere tale consenso.
Poi, per quanto riguarda il reato di lesione di cui al C2, non vi è dubbio che alcuni tipi di MGF (ad esempio pratiche che comportano perforazione, perforazione, incisione del clitoride e delle labbra) non producono necessariamente una diminuzione permanente dell’integrità psicofisica che deve essere documentata se necessario. Pertanto, in questo caso è possibile esprimere il consenso a tali pratiche ai sensi della Legge 219/17, e qui, ad esempio, la donna può legalmente richiedere che le venga apposto un piercing genitale.
Per quanto riguarda il fattore discriminante di cui all’art. 51 c.p., il diritto richiamato potrebbe consistere nel diritto alla libertà religiosa, o in quello derivante dalla consuetudine, o previsto da una legge straniera. Tuttavia, si precisa che nessuna confessione religiosa prescrive obbligatoriamente le MGF e, anche se così fosse, l’esercizio della libertà di religione non può comportare la violazione di diritti costituzionali di rango superiore, quali la dignità della persona (artt. 2 e 3 Cost.), l’integrità fisica e la salute psico-sessuale (art. 32 Cost.); pertanto, nel caso delle MGF, neppure la declinazione di responsabilità ex art. 51 c.p.
Si ricorda infine che la Legge 219/17 all’art. 1 comma 6 specifica che il paziente non può pretendere trattamenti sanitari contrari alla legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali e che, a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.
Per quanto riguarda la defibulazione, invece, essa non integra il reato di cui all’art. 583-bis c.p. in quanto connessa ad un’esigenza terapeutica, volta a riparare una grave violazione dell’integrità fisica della donna e del suo diritto alla salute. Come altri atti medici, richiede sempre l’acquisizione di un valido consenso informato, anche con l’ausilio di un mediatore culturale laddove ve ne sia la necessità. Nel caso di minori, le persone che esercitano la responsabilità genitoriale devono essere coinvolte nel processo decisionale, tenendo comunque presente che, in ogni caso, oggetto di tutela è il diritto del minore di vedere una grave violazione della propria integrità fisica e del proprio diritto alla salute. Ciò deve essere in armonia con quanto previsto dall’art. 3 della citata Legge 219/17 nonché nel caso del soggetto maggiorenne e incapace.
PROTEZIONE INTERNAZIONALE 9 – 31
Una persona che è a rischio di essere sottoposta a mutilazione genitale femminile (MGF) può chiedere allo Stato italiano il riconoscimento della protezione internazionale, un insieme di diritti fondamentali riconosciuti dall’Italia ai rifugiati.
I rifugiati sono persone che hanno il fondato timore di essere perseguitate nel loro paese per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica, appartenenza a un determinato gruppo sociale e che non possono ricevere protezione dal loro paese di origine. Da questo punto di vista, la MGF è considerata una persecuzione che conferisce il diritto alla condizione di rifugiato. Tale condizione prevede, infatti, che i soggetti ricevano protezione internazionale e prima di tutto abbiano garantito il diritto di non essere rimpatriati e di rimanere in Italia.
Le domande di asilo per motivi di MGF possono rientrare nel d.lgs. 251/2007 artt. 7 e 8, che considerano rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato le violenze fisiche o psichiche o gli atti specificamente diretti contro un determinato genere o contro i minori. Sulla base dei principi enunciati nella Convenzione di Ginevra del 1951, questi atti di violenza costituiscono una grave violazione dei diritti umani fondamentali. Tuttavia, anche il fatto di essersi allontanati o di aver allontanato la propria figlia da tali pratiche può essere considerato ai fini della richiesta di asilo, implicando potenzialmente una persecuzione di natura politica nei paesi in cui le MGF rappresentano una pratica fortemente radicata nell’ordine politico religioso. Tale motivo di persecuzione è specificamente previsto dal citato D.Lgs. Lo stesso vale per coloro che hanno già subito le MGF, in quanto possono aver legittimato e fondato il timore di future persecuzioni e le stesse possono essere ripetute e/o re-inflitte in forme diverse. La legge include, infatti, sia ipotesi di persecuzioni passate che future (articoli 2, 3 e 4). L’inclusione delle MGF tra i motivi di accoglimento delle domande di asilo è stata ribadita anche nell’ambito del diritto dell’Unione Europea e dall’UNHCR. Sul punto, va notato che già a partire dagli anni ’90, la giurisprudenza di vari paesi europei, come Francia, Regno Unito, Austria, Germania, Belgio e Spagna, e di paesi extraeuropei, come Canada, Stati Uniti e Australia , ha individuato nelle MGF un presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Nel 2016, l’Italia ha registrato un aumento dei flussi migratori, soprattutto da paesi a rischio di MGF, stimato in circa 181.500 persone, con un parallelo aumento del numero di richieste di asilo, per le quali è stato il terzo paese dell’UE con 123.000 domande. Sebbene non sia noto il numero esatto di donne che chiedono asilo per motivi legati alle MGF e che lo ottengono per questo motivo, questi dati rendono probabile che in questa popolazione vi sia un’alta percentuale di donne che hanno subito o sono a rischio di subire MGF, considerazioni rafforzate dall’evidenza dell’elevato numero di donne richiedenti asilo provenienti da paesi in cui la pratica delle MGF è ancora diffusa: numeri elevati sia in termini assoluti, come nel caso della Nigeria e dell’Eritrea (che hanno avuto un’incidenza di MGF pari rispettivamente al 27% e all’89%), sia in termini relativi, come nel caso della Somalia dove l’incidenza delle MGF è stata pari al 98% (Fig.1). Si stima che in Italia ci siano tra le 60.000 e le 81.000 donne sottoposte a una forma di MGF nell’infanzia.
Figura 1: MGF per paese tra le donne di età compresa tra 15 e 49 anni 31
L’onere della prova grava sul ricorrente ed è sufficiente a provare la credibilità dei fatti anche in via indiziaria (sentenze c.c. n. 18353/06, 10177/11 e 6880/11).
Per quanto riguarda l’operatore sanitario (principalmente Specialisti in Ginecologia e Ostetricia e Medicina Legale), potrebbe essere richiesto di certificare l’esistenza della mutilazione, la sua tipologia ed estensione al fine di elaborare correttamente la domanda.
RISARCIMENTO DANNI 9 32 – 36
Nel diritto civile, la protezione delle vittime di MGF solleva la questione della possibilità di risarcimento del danno biologico causato loro da tali pratiche.
Ciò non può prescindere da una valutazione medico-legale avente ad oggetto non solo la valutazione della sussistenza di un nesso causale giuridicamente rilevante tra le predette pratiche e la lesione residua a livello psico-somatico ma, soprattutto, la transitorietà o permanenza degli esiti stessi. Inoltre, è opportuno considerare l’esistenza di esiti invalidanti non solo da un punto di vista fisico, ma anche da un punto di vista psichico, in quanto tali pratiche sono riconosciute molto efficaci in termini di esiti psico-traumatici. Le ripercussioni sul funzionamento della vittima sono così notevoli da poter configurare un quadro di Disturbo Post-traumatico da Stress. Un esempio è dato da una sentenza di condanna al risarcimento del danno in un caso di MGF emessa dalla Corte d’Appello di Torino in data 26.02.2020 e successivamente confermata in Cassazione nel 2021.
Inteso il danno come “la lesione dell’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, risarcibile indipendentemente dal suo impatto sulla capacità reddituale della persona offesa” (art. 5 comma 3, L. 57/01 ), deve essere intrapresa la valutazione medico-legale. Si svolge eventualmente in azione collegiale con uno specialista di merito nei casi che presentino i profili di responsabilità medico professionale come previsto dalla legge 24/17, e dovrà verificare la sussistenza della menomazione, la sua entità e le eventuali ripercussioni funzionali sulla salute psico-fisica del paziente.
CONCLUSIONI
Le MGF sono riconosciute come una grave violazione dei diritti fondamentali delle donne e delle ragazze e, per questo motivo, condannate da una serie di convenzioni internazionali che mirano a eliminare tali pratiche. In queste convenzioni anche l’Italia è firmataria. Alla luce di ciò, nell’ordinamento italiano la pratica delle MGF, in violazione dei diritti costituzionalmente garantiti, comporta una serie di conseguenze sia in ambito penale, in particolare le fattispecie di cui al 583-bis del codice penale introdotte dall’l. 07/06, e in ambito civile relativo alla responsabilità genitoriale, alla protezione internazionale e, non ultimo, al risarcimento del danno subito.
Per quanto riguarda il personale sanitario, la legge prevede una sanzione accessoria in caso di pratica delle MGF, anch’ esse espressamente vietate dal Codice di Deontologia Medica. Inoltre, trattandosi di reati perseguibili d’ufficio, vige per il medico o l’operatore sanitario il dovere di informare la Pubblica Amministrazione, un dovere definito diversamente a seconda della qualifica posseduta dall’operatore sanitario.
Altro elemento di criticità è il tema del consenso. Nel caso delle MGF ci troviamo di fronte ad un atto che non ha valore terapeutico (al quale la persona assistita può o meno dare il suo consenso). Ciò è dovuto al fatto che, in particolare per quanto riguarda quanto previsto dalla C1, si tratta di azioni volte a produrre una menomazione dell’integrità psico-fisica della persona e, come tali, perseguibili penalmente per legge. Pertanto, oltre alla Legge Penale e al Codice di Condotta, si applica quanto previsto dall’art. 5 c.c.. Si ricorda infine che la Legge 219/17 all’art. 1 comma 6 specifica che il paziente non può pretendere trattamenti sanitari contrari alla legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali e che, a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.
Diverso è il caso della deinfibulazione, in quanto risponde ad un’esigenza terapeutica volta a riparare una grave violazione dei diritti della donna, non integrando quindi il reato di cui all’art.583-bis ma rimanendo in ogni caso vincolata alle disposizioni della legge 219/17 sia per l’adulto capace che nel caso di minori o soggetti incapaci.
Per quanto riguarda il riconoscimento dello status di rifugiato, le ragioni contemplate dal decreto legislativo 251/07 possono includere le MGF come gravi violazioni dei diritti fondamentali dirette contro un genere o un gruppo sociale. Lo affermano anche le successive direttive e linee guida europee dell’UNHCR nonché alcune sentenze a livello italiano. Infine, per quanto riguarda l’aspetto del danno biologico derivante dalla MGF e dal suo recupero, il medico legale dovrà considerare ai fini della valutazione non solo il danno fisico residuo ma anche quello psichico, poiché la MGF ha un’importante efficienza psico-traumatica.