Introduzione
La pandemia da Covid-19 ha avuto un effetto dirompente sull’intero panorama sanitario e quindi anche sul sistema ospedaliero, causando una riconsiderazione del modo in cui vengono offerti i servizi che in futuro influenzeranno in modo significativo l’offerta sanitaria. La prima ondata ha colpito una parte della nostra regione, e Brescia in particolare, con una brutalità inaspettata. A partire dalla terza settimana di febbraio, dopo l’individuazione dei primi focolai di Coronavirus (in provincia di Lodi), l’ondata dell’epidemia ha raggiunto Brescia, con accesso ai Pronto Soccorso ospedalieri che, dal 23 febbraio 2020 in poi, hanno registrato una progressiva e impressionante intensificazione. Nel nostro ospedale (600 posti letto, Fondazione Poliambulanza – Istituto Ospedaliero, Brescia) in poco meno di due mesi sono stati accolti e curati oltre 2.200 pazienti, di cui 1450 ricoverati. Un totale di 186 pazienti sono stati ricoverati in unità di terapia intensiva (durante il momento più critico sono stati ricoverati 430 pazienti Covid e sono stati allestiti e resi disponibili fino a 78 posti letto, rispetto ai 21 dei tempi ordinari).
L’ospedale è stato completamente trasformato, con una revisione di quasi tutti i paradigmi operativi: il punto nascita mantenuto attivo e solo 3 (su 13) sale operatorie, per gli interventi di emergenza e le emergenze oncologiche; tutti i ricoveri elettivi e tutte le attività ambulatoriali sono stati bloccati, ha rafforzato il personale dell’intensità (tutti i punti di forza e le competenze dei rianimatori, degli anestesisti e degli infermieri di sala operatoria sono stati destinati ai pazienti Covid-19); sono stati organizzati corsi di formazione specifici per i medici di diverse discipline convertiti all’assistenza ai pazienti Covid (per supportare il back-up nei reparti e nel pronto soccorso), 9 reparti sono stati convertiti e attrezzati per questa funzione; oltre un centinaio i professionisti sono stati reclutati dall’esterno. L’ospedale è passato da un consumo giornaliero nella situazione ordinaria di circa 600 litri a 12.000 litri al culmine della crisi (ciò ha comportato l’acquisizione di serbatoi aggiuntivi, la costruzione di nuovi sistemi di distribuzione e alimentazione). È stata stabilita la funzione di gestore del letto: tre operatori sempre attivi nel controllo dell’occupazione dei letti (di cui, al momento della massima occupazione, 360 con assistenza ventilatoria a vari livelli di intensità) in base alle esigenze cliniche e infermieristiche dei pazienti1. In sintesi, in pochi giorni, costretto dalla travolgente pressione pandemica, l’ospedale ha dovuto trasformarsi da ospedale polispecialistico a ospedale Covid e poco tempo per elaborare un processo di cura più appropriato è rimasto2.
LA SECONDA ONDA
La seconda ondata, arrivata a novembre 2020, ha nuovamente sovvertito le caratteristiche dell’ospedale, ma in questa occasione, grazie all’esperienza maturata nella prima ondata, è stata affrontata da un sistema più preparato e pronto con una specifica risposta organizzata. Forti della consapevolezza che l’organizzazione, piuttosto che la clinica (priva ora come allora di un trattamento specifico efficace), avrebbe prodotto gli esiti più favorevoli per i pazienti, è stata immediatamente attivata una modalità di accoglienza modulata per le diverse tipologie di pazienti: stretto monitoraggio della terapia intensiva più seria nei pazienti con bisogni più primari, interdisciplinarità e rapporto con l’assistenza comunitaria per i pazienti con maggiore assistenza domiciliare devono essere soddisfatti una volta terminata la procedura ospedaliera.
Anche prima del Covid, il nostro ospedale, come molte delle organizzazioni ospedaliere avanzate, aveva iniziato a modellare i percorsi clinici secondo una visione multidisciplinare e trasversale dell’assistenza e applicando modelli in grado di supportare in modo efficiente ed efficace i processi per le diverse esigenze di cura (es. Progressive Patient Care & Patient Centered Care – PCC)3. La seconda ondata della pandemia ha accelerato il cambiamento in corso. Questa trasformazione, secondo la creazione di percorsi omogenei per tipologia di pazienti di diversa gravità clinica e con diversa complessità assistenziale (modello per intensità di cura), è stata la scelta organizzativa intuitiva. Questo modello è stato realizzato creando e assegnando a diverse macro-aree di cura, con competenze specifiche e appropriate, pazienti con diverse gravità di malattia e in tempi diversi per quanto riguarda la loro traiettoria di malattia.
Azioni-Area filtro (processi di selezione)
La prima azione intrapresa è stata la creazione di un’area ad alto turnover (“area filtro”) riservata ai pazienti del PS con una indicazione definita per il ricovero e in attesa di un referto tampone. Nell’area del filtro i pazienti sono stati stratificati in base alla loro gravità clinica a causa dell’infezione da Sars-Cov2 (dall’Indice di Rischio Prognostico di mortalità in ospedale; Tabella 1), al loro stato medico preesistente (cioè comorbilità, disabilità) e alle aree non biomediche che avrebbero potuto influenzare sia la prognosi (fattori aggravanti) che la dimissione per ciascun paziente (The Silver Code, Tabella 2)4. L’integrazione delle caratteristiche cliniche con le comorbidità, lo stato funzionale, ed extra cliniche (i.e. fattori non biomedici) ha permesso di definire:
- lo stato di salute del paziente (peso della gravità della patologia indice rispetto alle comorbidità o viceversa);
- l’obiettivo dell’assistenza (salvataggio o massimizzazione delle cure palliative e comfort a fine vita);
- il livello di intensità dei trattamenti da attivare: terapia intensiva, globale, palliativa e di comfort, e terapia di base.
La definizione delle caratteristiche dei pazienti e gli obiettivi del trattamento consentono al gestore del letto di gestire la prima allocazione dei pazienti in modo flessibile nelle macro-aree designate (“triage di reparto”).
Le macro-aree del ricovero
Nello specifico sono stati individuati 4 settori (macro-aree):
- un settore ad alta intensità denominato 2P Tower (accoglie pazienti che necessitano di qualsiasi tipo di terapia, potenziali candidati al trasferimento in terapia intensiva: in questo settore vengono ricoverati pazienti in ventilazione non invasiva, pazienti con erogazione di O2 ad alto flusso e Venturi Mask (VM); questo settore accoglie anche pazienti che necessitano di terapia palliativa, sia per la gestione della NIV che in fase di terminalità);
- un settore di media intensità denominato 4P Tower (accoglie pazienti con polmonite grave o ARDS senza necessità massima di fornitura di O2 con MT);
- due settori a bassa intensità denominati rispettivamente 3P east e 4P tower (accogliendo pazienti stabili, con erogazione di O2 in CN, o pazienti clinicamente guariti in attesa di essere trasferiti in contesti specifici post-acuti (contesti post-Covid) a causa della loro incapacità di tornare a casa per problemi ambientali o per il peggioramento dello stato funzionale a seguito dell’infezione da Sars CoV-2 o del ricovero).
I pazienti chirurgici con infezione accidentale da Sars-CoV-2 sono stati ricoverati sia nel settore ad alta che in quello a media intensità. La struttura dei reparti è stata naturalmente flessibile, adattandosi ai cambiamenti sia dello stato di salute dei pazienti che dell’epidemiologia della domanda (e delle competenze del personale di assistenza disponibile).
Il personale di assistenza
Il modello adottato ha richiesto l’inserimento del personale nei vari contesti in virtù delle competenze possedute. Per quanto riguarda i medici, sono stati individuati medici senior con competenze cliniche ed esperienza maturata nel campo dell’intensità, sono stati dedicati a guidare i settori ad alta e media intensità, e medici junior (capaci, per l’energia fisica e mentale, di mantenere la volontà e la capacità di continuare a lavorare anche nelle condizioni più stressanti e difficili per il mix di aspetti clinici e non clinici) sono stati dedicati a guidare i settori a bassa intensità con alti tassi di dimissione. I medici delle altre specialità svolgevano una funzione di supporto. È stata richiesta una conversione degli infermieri e degli operatori socio-sanitari dei reparti chirurgici negli infermieri Covid; la presenza del personale è stata organizzata in base alla loro competenza nell’intensità delle cure e “misurando” la loro presenza secondo un diverso “rapporto infermiere-paziente” (Department of Health, UK, 2013). Competenze e personale sono stati quindi i driver organizzativi, che uniti alla complessità clinica dei pazienti hanno permesso di organizzare l’intensità delle cure (Tabella 3).
Dopo il covid: lezione appresa
L’eredità dell’organizzazione costruita durante la pandemia dopo che l’ultimo paziente covid è stato dimesso:
- La funzione di gestore del letto è stata definitivamente stabilita; un operatore è ora attivo 24 ore al giorno (con controllo dell’occupazione dei letti), risponde alle richieste del pronto soccorso relative al posizionamento dei pazienti in base alle loro esigenze mediche o chirurgiche e infermieristiche.
- La valutazione multidimensionale per tutti i pazienti, rilevando la gravità clinica, il carico biomedico e funzionale e le esigenze non biomediche (tutte in grado di influenzare la prognosi e la fattibilità della dimissione) viene adottata ed eseguita in PS; ora è lo strumento utilizzato dal gestore del letto per allocare i pazienti nei diversi reparti.
- Nel reparto chirurgico è stato realizzato il modello di intensità di cura (percorsi omogenei per tipologia di pazienti di diversa gravità clinica e con diversa complessità assistenziale).
- Lo standard infermiere-paziente è stato rivisto e la diversa “dose di cura” è ora la regola adottata in tutti i reparti.
Conclusioni
|||UNTRANSLATED_CONTENT_START|||The Covid-19 crisis has imposed at the hospital level a reflection on the paths to be taken not only to redeem the many deaths, but to produce concrete and structural acts of recognition and protection for the entire population who will require hospital care5.|||UNTRANSLATED_CONTENT_END||| Per evitare di essere drenati nel cinismo che la crisi pandemica porterà, gli ospedali possono fare scelte pragmatiche che favoriscono la qualità delle cure piuttosto che la ripetizione di ciò che è già noto. Alcuni suggerimenti appresi:
- Flessibilità Quello che è successo per l’emergenza dovrebbe avere un seguito in via ordinaria. Possibilità di trasformare rapidamente la funzione in letti in base alle esigenze. Questo è accaduto per motivi di emergenza. La progettazione di nuovi ospedali dovrebbe considerare questo aspetto, in parte già realizzato con i nuovi ospedali progettati secondo l ‘”intensità di cura”. Si pensi ad aree mediche non più separate da pareti (e non solo strutturali), ma ampie aree a cui i pazienti possono accedere indipendentemente dal loro quadro clinico acuto (situazioni particolari come infarto acuto STEMI, ictus, per cui preparare aree attrezzate flessibili).
- Co-gestione. Durante la pandemia specialisti di malattie infettive, pneumologi, internisti e specialisti di altre discipline sono intervenuti ciascuno sul singolo paziente in base alle sue competenze, andando oltre quello che fino a ieri era un unico semplice consulto. La cogestione deve essere una pratica ordinaria.
- Tecnologia. Durante la pandemia ci siamo tutti resi conto di quanto fosse necessario avere macchinari efficienti, facilmente manovrabili, non obsoleti. Non solo i ventilatori ma anche gli ultrasuoni (vascolari, cardiologici, toracici, addominali) hanno facilitato la diagnostica e di conseguenza il trattamento. Nelle grandi aree medicali deve essere presente almeno il 20-30% dei posti letto “High Care”, ossia dotati di tecnologia per il monitoraggio dei parametri vitali con relativa unità di osservazione e controllo.
- La competenza. Saranno necessarie competenze specifiche ma anche competenze generali in tutti i reparti ospedalieri. Sarà sempre più necessario che i medici siano in grado di avere una visione d’insieme dei problemi di ogni singolo paziente, di distinguere le loro priorità, di coordinare tutta la loro assistenza e cura durante il ricovero.
- L’organizzazione strutturale. Anche prima della pandemia era rilevante il problema della mancanza di strutture adeguate per i pazienti dimessi da un ospedale di cura acuta ma non ancora in condizioni gestibili a domicilio. È necessario investire nella “cura intermedia” creando strutture ad hoc o convertendo a questa funzione strutture abbandonate o destinate ad altri usi.
- Relazione con il territorio L’ospedale deve diventare per quanto possibile una struttura aperta. Il rapporto con i medici locali e, ove presente, con l’infermiere locale deve diventare un percorso obbligatorio e possibile anche con mezzi informatici.
Il raggiungimento di questi obiettivi sarà possibile se i vincoli rigidi superati dalla necessità imperativa (e dall’entusiasmo) della prima ondata, ma evidenti e limitanti nella seconda, saranno superati con la regolamentazione, oltre che con la flessibilità intellettuale, che consente di adattare operativamente le risposte dell’ospedale alle esigenze del paziente. Infine, i sistemi organizzati richiedono informazioni “discrete” (assessment oggettivo), che, pur non rappresentando riferimenti indiscutibili, consentono risposte più adeguate al singolo paziente, e una più equa distribuzione delle risorse disponibili. Tuttavia, sarà importante evitare il pericolo che il pensiero alla base dell’organizzazione (la tecnologia e la tecnicità) possa diventare dominante, travolgendo l’ispirazione ideale dell’ospedale che, invece, deve sfruttare l’organizzazione e la tecnologia, ma rifiutare di essere dominato da esse.